Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Bolzano, 18 marzo 2009 Quarant'anni possono essere tanti, o pochi. Otto lustri dovrebbero, normalmente, essere sufficienti a dipanare un intricato caso giudiziario, ma evidentemente sono troppo pochi per far emergere una delle verità più spinose del nostro Paese. Era la notte del 15 dicembre 1969 quando il ferroviere anarchico Pino Pinelli entra vivo nelle stanze della questura di Milano e ne esce morto, volando dal quarto piano, tre giorni dopo la strage di Piazza Fontana del quale era, ingiustamente, accusato. Di quel che accadde nel mezzo, si sa poco: un interrogatorio molto duro lungo tre giorni e tre notti. Stop. L'episodio di Pinelli darà il via ai violenti attacchi giornalistici portati da "Lotta Continua" al commissario Luigi Calabresi, funzionario di polizia convinto sostenitore della matrice anarchica degli attentati presente quella notte. Attacchi che sfociarono nell'omicidio Calabresi con conseguente arresto di Adriano Sofri. A distanza di quattro decenni, quindi, Sofri torna su quei tragici episodi che hanno segnato la storia italiana nel libro "La notte che Pinelli" (Sellerio editore Palermo, 284 pagine, 12 euro) presentato nel Vecchio Municipio di Bolzano in un incontro organizzato dall'associazione culturale "Bz1999". Cercare giudizi morali di Sofri in questo volume è opera ardua, ma la ricostruzione legale della vicenda stimola l'interesse di chi è contemporaneamente curioso e spaventato di addentrarsi nelle pieghe controverse della giustizia italica. Sofri, infatti, comincia a decostruire l'ipotetico castello di chi volle liquidare l'avvenimento rapidamente sotto il nome di suicidio. In questura, infatti, Pinelli fu pesantemente torchiato con interrogatori anche pesanti, testimoniate nel volume. Non solo, il libro procede anche attraverso le incongruenze di una prima inchiesta piuttosto vaga, a partire dall'orario dell'incidente passato dalle 19.30 a mezzanotte. Non mancano, inoltre. i sospetti che Calabresi fosse presente e in qualche modo protagonista della morte di Pinellli, così come è netta la denuncia del giudice Gerardo D'Ambrosio, troppo frettoloso nel voler chiudere il procedimento. In un ipotetico dialogo con una ventenne desiderosa di conoscere una storia mai vissuta, insomma, Sofri sviscera le carte legali e attraversa la storia italiana con una fitta ragnatela di dati, persone e testimonianze. Non si troverà, però, una verità su una morte misteriosa perché, purtroppo, verità ancora non c'è: "Non so come sia morto Pinelli" ammette l'autore che in un capitolo si assumerà anche alcune responsabilità morali dell'omicidio Calabresi, possibile conseguenza di alcune invettive troppo affilate. Marco Boato, parlamentare dei Verdi e amico intimo di Sofri, ha voluto presentare l'opera davanti a un pubblico numeroso e interessato. «Sofri ha voluto sgravarsi di un debito morale che sentiva verso la figura di Pinelli. Nasce così uno studio che dimostra come su questa vicenda ancora non ci sia alcuna certezza, al di là dell'inconfutabile verità che in qualche modo Pinelli fu perlomeno spinto ad ammazzarsi. Basti pensare, infatti, che la prima versione fornita da tutti i poliziotti presenti, Calabresi compreso, fu quella del suicidio di Pinelli in seguito alla notizia falsa, data da Calabresi, della confessione dell'anarchico Valpreda sulla strage di Piazza Fontana. Non solo, questo scambio di battute sarebbe avvenuto alle 19.30 mentre Pinelli è ufficialmente precipitato poco dopo mezzanotte: quattro ore come tempo di reazione ad una brutta notizia sono tante». Boato, in seguito, rincara la dose dello scetticismo verso una sentenza chiusa troppo in fretta. «L'inchiesta affidata a D'Ambrosi (oggi parlamentare Pd) fu accurata e dettagliata, ma nel '75 quando si avviò alla conclusione c'era già stato l'omicidio Calabresi e il contesto era assai differente, così si trovò la scappatoia del "malore attivo" riportata nel dispositivo finaIe. Una tesi difficile da sostenere sotto qualsiasi punto di vista». Boato, in chiusura. sottolinea come l'illegalità fu davvero totale quella notte. «Per legge un fermo non può durare più di 48 ore. Bene, Pinelli è morto dopo tre giorni di fermo, in questura in una situazione di palese e lampante illegalità». La sensazione, quindi, è quella di un libro che, come una pezza, pulisce una finestra sporca per far filtrare un po' di luce, ma, una volta chiuso, lascia inevitabilmente qualche pungente e scomodo alone.
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MARCO BOATO |
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